Questa ricetta è stata realizzata in collaborazione con Weber Italia
Abbiamo capito che grigliare senza un buon termometro è come andare in autostrada contromano, e abbiamo certamente capito che una ricetta senza procedura, in cui si riportano i tempi di cottura anziché le temperature, può insegnarci più niente che tutto.
È importante, se davvero vogliamo migliorare il nostro approccio con la cucina, metabolizzare le informazioni che ho condiviso con voi fino a questo punto. Entrate nell’ottica che a me non viene in tasca nulla e che se tutto ciò che vi dico è vero, sarete voi gli unici beneficiari di questo sforzo condiviso. Perché quindi non provare a capire se ciò che vi dico ha senso oppure no?
Oggi butteremo insieme qualche gamberone sulla griglia, useremo un paio di semplici accorgimenti, cercheremo di capire dove dobbiamo andare a parare per cuocerli in modo impeccabile, e come presentarli ai nostri ospiti con pochi fronzoli ma con una carica di sapore esplosiva.
Come dice il mio mentore Massimo Bottura, “il fine ultimo di un cuoco è il palato”. Non la TV, neanche i libri e le interviste. Il palato. Ritengo che questa sia una delle affermazioni che più di ogni altra debba imporci profonde riflessioni.
Tornando al nostro gamberone, dobbiamo cercare, se possibile, di amplificarne la potenza gustativa e renderlo semplicemente buonissimo da mangiare. Senza fronzoli, senza per forza ricercare abbinamenti impossibili o styling ultra ricercati.
Prima di somministrare energia ad una materia prima (cuocere un pezzo di carne) dobbiamo capire che cosa questa ci può dare, quale può essere il modo migliore di impartire tale energia. Nel caso del nostro gamberone, se davvero vogliamo esaltarlo al massimo, abbiamo l’obbligo intellettuale di estrarre quanto più sapore possibile, ma al contempo mantenere la migliore consistenza possibile al palato. Sembra complicato, vero? Niente affatto, sentite questa:
Chiaro no?
Se vi rivolgessi questa domanda scatterebbero le risposte che sappiamo tutti cioè “sa di mare”, “sa di scoglio”, “sa di iodio” e tutto il repertorio. Ma se vi chiedessi nello specifico qual è la forza del gamberone, probabilmente rispondereste in pochi. Poco male, la risposta è a portata di mano:
Abbiamo già parlato abbondantemente del gusto umami giusto? Abbiamo in qualche modo cercato di riassumerlo come l’intensità di sapore di un cibo, il “volume” di un alimento. Per cui se l’insalatina ha un volume basso, il parmigiano, i porcini e i fagioli hanno un volume molto alto.
Questo strabenedetto umami non è altro che la risposta della bocca ad un sale sodico dell’acido glutammico, per noi comuni mortali è il glutammato monosodico, onnipresente nell’industria e nella cucina orientale.
Per quanto si tenda a demonizzare tale additivo, in realtà è assolutamente innocuo e tollerato dall’organismo,ma quello aggiunto chimicamente, secondo me, tende ad uniformare, ad appiattire i sapori. E’ bene quindi cercare di aggiungere o quantomeno mantenere naturalmente il glutammato presente nei cibi. Vi ho rotto le scatole? Ok, torniamo al nostro gamberone ma non prima di aver focalizzato questo aspetto: uno dei nostri obiettivi è mantenere succulenza, mantenere i liquidi all’interno.
Il glutammato ha due alleati fedelissimi che sono l’inosinato di sodio e il guanilato disodico, due nucleotidi che spesso vengono utilizzati in abbinamento al glutammato, perché hanno la capacità di amplificare, moltiplicare il gusto umami degli alimenti. La buona notizia è che pesci e crostacei sono molto ricchi di queste sostanze. Se proviamo a mantenere inalterato questo equilibrio naturale, se evitiamo quindi di seccare il gamberone, per effetto del potere di amplificazione di questi nucleotidi, otteniamo un semplice e risolutivo beneficio: il gamberone saprà di gamberone. Di brutto.
Sappiamo bene come funziona, no? Somministriamo calore ad una proteina e questa si accorcia strizzando via liquidi. Maggiore è l’intensità di calore somministrato, più repentina la contrazione, maggiore la perdita di liquidi che verranno strizzati fuori. Ma come possiamo fare per mantenere questi liquidi?
Il nostro gamberone ha un guscio esterno, il carapace, che chiaramente non viene mangiato. C’è di più: questa sorta di “corazza” non solo non può ottenere alcun beneficio dalla cottura ma fa anche da schermo ai famosi fumi che in qualche modo sono uno degli elementi fondamentali del grilling. Questo schermo, ha anche il doppio vantaggio di contenere in parte la fuoriuscita dei liquidi, cosa che non accadrebbe se li sgusciassimo. Questi liquidi, scaldandosi, cuociono il gambero dall’interno mantenendolo succoso. Ma solo ed esclusivamente se non si avvicinano al punto di ebollizione, perché in quel caso cercherebbero una via di fuga. Perché quindi non sfruttare queste caratteristiche per i nostri scopi?
Cominciamo a delineare la tecnica di cottura quindi:
Questo ci consentirà di fermare tutti i liquidi che verranno strizzati fuori? Ovviamente no e aggiungerei purtroppo. Il punto che delimita l’attaccatura della testa alla coda, è una via di fuga verso cui, senza voler fare trattati di termodinamica, i fluidi convergeranno per cercare di scappar fuori.
Fluidi che scappano uguale succulenza e sapore che si perde.
Come possiamo evitare che escano liquidi dal buco? Semplice, con un tappo!
Per intrappolare questi liquidi in uscita, o meglio solo una buona parte di essi, basterà semplicemente incidere tra la testa e la coda e riempire con una panatura, magari insaporita con un trito di erbette, un goccio d’olio e un’idea d’aglio. Il pane disidratato assorbirà una quantità abbondante di liquidi e risulterà quindi molto saporito. La parte di panatura esposta al fuoco, invece, diventerà croccantina, offrendo due diverse consistenze dello stesso elemento.
Abbiamo delineato la tecnica? Direi di si:
Per prepare quindi i nostri gamberoni, non facciamo altro che asciugarli alla perfezione con della carta da cucina, tamponandoli più volte. Preriscaldiamo la griglia e nel frattempo facciamo un piccola incisione sulla schiena, togliamo l’intestino nero con la punta di uno stuzzicadenti e riempiamo la cavità della testa e parte della schiena con una panatura saporita.
Spennelliamo un velo d’olio che ci servirà a veicolare il calore e grigliamo a calore diretto, fino a cottura, rigirandoli solo una volta. Gas o Carbone sarà indifferente, per questo tipo di preparazione.
Non lo so e non lo sa nessuno. Il gambero è cotto quando è cotto.
Comprendo che usare il termometro per un gamberone è alquanto scomodo,ma se lo fate per un paio di volte, otterrete una linea guida che in seguito vi permetterà di individuare il punto di cottura esatto, anche senza strumento. La regola di base è: quando il carapace cambia in un colore arancione brillante e la polpa del gambero, da traslucida diventa opaca, significa che è al punto di cottura.
Chiaramente non possiamo sapere se all’interno è avvenuto lo stesso cambio, e in che tempi, perciò l’unico modo è usare un termometro e cuocere fino alla soglia prevista. Con i gamberi grigi e le mazzancolle è un pochino più facile, con i rossi un po’ più complicato, con gli scampi è un terno al lotto, ma lo è anche far penetrare il termometro.
Scrivetelo sulla pietra: Il punto di cottura perfetto del gamberone è compreso tra i 58°C e i 62°C. E’ il punto in cui le proteine sono in gran parte coagulate, ed il punto immediatamente precedente all’effetto “spugna” dovuto al calore.
Dimenticate i minuti e ricordate il numero magico per il gamberone: 60°C (Sessanta gradi centigradi).
A questo punto dovreste ottenere un gambero perfettamente cotto, estremamente succoso, con qualche briciola di pane morbida e intrisa di umori, e un’altra parte croccantina e molto saporita. Non resta che servirli, magari abbinando qualche salsina capace di spostare in alto la lancetta dell’acidità, parametro chiave e fondamentale per bilanciare la dolcezza del gamberone.
Potete usare una maionese, aromatizzandola con dell’erba cipollina, zafferano e succo di lime. Oppure potete usare una salsa verde, quella classica, frullando prezzemolo, acciughe, aglio, un pizzico di sale e succo di limone ed un cucchiaino di senape per emulsionare.
Oppure provare una citronette pungente, magari con olio extravergine e succo di lime, senape di digione e un trito di ravanelli.
Non annegate il cibo nelle salse, siamo italiani, abbiamo buon gusto per quanto esseri geneticamente predisposti ad essere gourmet. Un puntoncino di salsa per ogni gamberone non solo andrà benissimo, ma esalterà alla perfezione il boccone, lasciandovi percepire tutta la freschezza e il sapore intenso del gambero. Il crostaceo ha mantenuto la sua succulenza, perfettamente equalizzato dalla piccola nota acida e saporita della salsa.
Usate piatti colorati o trasparenti, che contrastano il colore del cibo che contengono, e servite a parte le salsine, invitando i vostri amici ad assaggiarle; si fideranno di voi man mano che si accorgeranno che il vostro barbecue è tre semafori avanti a quello de resto del mondo. A molti basterà il gambero cotto alla perfezione, in verità.
Non cuocetene troppi e tutti in una volta, ma divideteli in due o tre batch, per poi servirli sempre caldi e al meglio della loro espressione. L’attesa nel vassoio li raffredda e, inevitabilmente, li asciuga.
Bene, direi che adesso sappiamo grigliare due gamberi senza farli seccare. Mi aspetto il solito commentino e, se vi è piaciuto, condividetelo urbi et orbi.
Come anticipato, questo era un post di pausa, ma dal prossimo si torna a studiare, ok?
[Crediti | Link: Weber Italia |BBQ4All | Immagini: BBQ4All]
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