Il primo assaggio lo si dà con gli occhi: l’aspetto estetico di quello che ci portiamo alla bocca è sempre stato un fattore fondamentale, in grado di influenzare notevolmente la percezione fornita dagli altri sensi e arrivando in alcuni casi a inibire la nostra volontà di alimentarci.
Le preparazioni realizzate al fuoco non fanno assolutamente eccezione, e anche chi cucina grandi pezzi di carne cerca di ottenere caratteristici risultati estetici che, pur non influenzando per nulla il gusto o l’olfatto, vengono percepiti come indicatori di un barbecue “fatto bene”.
In questo articolo parleremo di uno degli aspetti più ricercati dai pitmaster di tutto il mondo, ovvero lo smoke ring.
Lo smoke ring si posiziona subito sotto il bark, subito sotto la pellicola compatta e speziata che dovremmo essere riusciti ad ottenere nelle prime fasi della nostra preparazione, prima dello stallo e comunque prima dell’eventuale utilizzo del foil. E’ una regione, larga dai 3 ai 12 millimetri, nella quale la carne presenta una colorazione dal rosa tenue al rosso intenso; il miglior risultato estetico è quello che vede la formazione di un vero e proprio “anello” sotto tutta la superficie del pezzo di carne, che compare ben in evidenza tagliando in trasversale una fetta.
Per capire l’importanza che ha lo smoke ring sulla nostra percezione, osserviamo le seguenti immagini, che rappresentano lo stesso taglio (il brisket) cotto con tre tecniche differenti: il primo è stato mantenuto sottovuoto in sous-vide per 36 ore a 68°C per poi finire la cottura nel kettle a 135°C per 3 ore con affumicatura data da chunk di legno (tenete a mente, ci ritorneremo dopo); il secondo è stato scottato sul fuoco e successivamente brasato in pentola; il terzo ha iniziato e terminato la cottura in uno smoker.
Quale delle tre immagini mette in movimento le vostre ghiandole salivali, facendovi assomigliare ad un molosso? Ma sopratutto, quale delle tre vi racconta una storia fatta di cottura lenta, fumo aromatico, legna e braci? La risposta è scontata, ma voglio lo stesso rendere tutto più chiaro, forse esageratamente, con la prossima immagine:
Orrore! Mensa da ospedale ! E’ evidente che l’assenza di smoke ring e tutto quel griglio rende questa preparazione quasi disgustosa alla vista, e la pone lontana millemiglia dalla comune concezione del barbecue.
I muscoli contengono percentuali variabili di mioglobina, una proteina globulare in grado di legare in maniera reversibile una molecola di ossigeno prelevata dal sangue, rendendola disponibile, quando necessario, alla produzione dell’energia richiesta dalla contrazione delle fibre. L’ossigeno viene trattenuto dal gruppo prostetico della proteina, costituito da una porfirina contenente al centro un atomo di ferro. Quando il ferro non lega l’ossigeno, la mioglobina assume un colore rosso; legandosi all’ossigeno, diviene ossimioglobina dal colore rosso brillante. Una esposizione eccessiva all’ossigeno o ad altri agenti ossidanti, specie con apporto di calore, può far passare il ferro dallo stato di ossidazione +2 a +3; il ferro così ossidato diviene incapace di legarsi all’ossigeno e si lega ad una molecola d’acqua, dando luogo alla colorazione bruna della metmioglobina.
Finché la mioglobina è nel suo stato naturale, questi processi sono in qualche modo reversibili: diventano irreversibili quando la proteina, per azione del calore apportato durante una cottura, inizia a denaturare a partire dai 60°C fino ai 70°C, temperatura alla quale tutta la mioglobina sarà ormai coagulata e avrà conferito alla carne un colore bruno-grigio.
Il ferro contenuto nel gruppo EME della mioglobina, oltre all’ossigeno molecolare (O2) può legare diverse molecole contenenti ossigeno: anidride carbonica (CO2), monossido di carbonio (CO), acqua (H2O), monossido d’azoto (NO).
Che c’entra tutto questo con lo smoke ring? Ci arrivo subito.
In condizioni ideali, ad esempio nei dispositivi a gas che bruciano con molta efficenza il propano, la combustione genera principalmente vapore acqueo e anidride carbonica. In un dispositivo a legna o a carbone, in genere avviene una combustione incompleta, spesso in carenza di ossigeno per mantenere controllata la temperatura. Queste condizioni generano un fumo carico di sostanze chimiche, tra le quali monossido di carbonio (CO) e, in quantità fino a cento volte inferiori, monossido d’azoto (NO). Entrambe queste molecole gassose sono in grado di penetrare per qualche millimetro nella carne, diffondendosi attraverso i succhi e legandosi alla mioglobina con una affinità superiore rispetto a quella per l’ossigeno. La carbossimioglobina e la nitrosomioglobina presentano entrambe un caratteristico colore rosso, solo che il legame del monossido di carbonio con l’EME è reversibile in abbondante presenza di ossigeno, mentre quello con monossido d’azoto è molto più stabile. Di conseguenza, uno smoke ring formato esclusivamente dal legame del monossido di carbonio con la mioglobina sbiadirà fino a scomparire dalla nostra fetta di brisket dopo appena una mezz’oretta di esposizione all’aria, mentre quello provocato dal monossido d’azoto rimarrà evidente anche dopo giorni.
In sintesi, nonostante il monossido d’azoto costituisca in media lo 0.2% dei prodotti della combustione, è il principale responsabile nella formazione di uno smoke ring. Se lo smoke ring non si forma, la causa è imputabile o ad una carenza di NO all’interno dei prodotti della combustione, oppure all’instaurarsi di condizioni che rallentano o bloccano del tutto la diffusione del gas nella carne e il legame con la mioglobina.
Il dottor Greg Blonder, autore e collaboratore scientifico del celebre sito amazingribs.com, si è preso la briga di misurare la quantità di monossido di azoto presente nei fumi di combustione di diverse tipologie di carburante, ottenendo risultati molto interessanti.
Carburante | NO misurato in ppm = parti per milione |
---|---|
erba, corteccia e legno fresco | 250 ppm |
bricchetti di carbone ben accesi | 100-200ppm |
fuoco di legno rovente | 50-200 ppm |
smoker a pellet a 107.2°C (225°F) | 25-50 ppm |
carbone di legno a pezzi irregolari | 10-70 ppm |
bricchetti di carbone in low&slow (225°F) | meno di 20 ppm |
propano, dispositivo a gas, fiamma alta | meno di 20 ppm |
bricchetti nel kettle weber con “slower” | meno di 10 ppm |
propano, dispositivo a gas, temperatura bassa | meno di 2 ppm |
dispositivo elettrico con chips di legno | meno di 2 ppm |
Gli esperimenti del dottor Blonder rivelano una serie di aspetti importanti:
In effetti, può capitare di ottenere uno smoke ring molto più marcato in una preparazione realizzata in indiretta, a temperatura più elevata, rispetto ad una preparazione low&slow portata avanti con una temperatura costante inferiore ai 110°C.
A questo punto, sempre grazie agli esperimenti del dottor Blonder, possiamo evidenziare quali condizioni riducono o bloccano completamente la diffusione nella carne del monossido d’azoto, con conseguente influenza negativa sulla formazione dello smoke ring.
Acidità: valori di pH bassi (quindi acidi) riducono la penetrazione del monossido di azoto nella carne, e di conseguenza rendono più difficile la formazione di smoke ring profondi; al contrario, ph alti (basici) agiscono in senso contrario. Utilizzare le marinate, spruzzare la carne con sostante acide come il succo di frutta, adoperare come “aggrappante” del rub la senape, sono pratiche che contribuiscono negativamente alla formazione dello smoke ring.
Trimmatura: il grasso di copertura, ovvero quello esterno alle fibre muscolari e disposto in genere tra un fascio muscolare e l’altro, viene normalmente eliminato (in gergo si dice “trimmato”) prima della stesura del rub e dell’avvio della cottura. Il tessuto adiposo ovviamente NON contiene mioglobina, quindi anche se permeato da NO o CO non può assumere una colorazione rosata. Per ottenere un buon smoke ring è quindi fondamentale ripulire accuratamente la carne dal grasso di copertura, per evitare che questo faccia da barriera alla diffusione del monossido di azoto. Anche la “silver skin”, ovvero quel sottile strato di connettivo che avvolge i gruppi muscolari, rallenta la penetrazione del NO riducendo la formazione dello smoke ring, quindi questo è un ulteriore motivo per eliminarlo accuratamente. Stesso discorso per la pleura che avvolge la parte inferiore delle ribs.
Umidità: la superficie umida della carne favorisce la condensazione dei fumi e la penetrazione delle molecole di gas nei tessuti sottostanti, favorendo la formazione di uno smoke ring più profondo. Per mantenere la superficie umida, è necessario saturare di vapore acqueo la camera di cottura del nostro dispositivo, utilizzando un waterpan colmo di acqua calda. Oltre al waterpan, è possibile mantenere umida la superficie della carne moppandola (inumidendola) regolarmente. Se fate caso, lo smoke ring è sempre più spesso sui lati del pezzo di carne: questo accade perché i succhi che traspirano dalla parte superiore, spesso scolano dai lati, mantenendo umide queste zone per più tempo.
Mantenere umida la superficie della carne, inoltre, riduce la traspirazione dei succhi dagli strati più interni verso l’esterno, specialmente quando si raggiunge una temperatura interna di 55°C: a questa temperatura le fibre di collagene iniziano a contrarsi e a strizzare fuori i succhi, quindi inizia quel processo evaporativo che pochi gradi più su provocherà il cosidetto “stallo” (l’avete letto l’articolo di Michele Chipa sull’argomento?). Quando i succhi fuoriescono, trasportano con se anche la mioglobina legata al monossido d’azoto, e questa si “accumula” dando forma ad uno smoke ring più sottile ma più netto e colorato.
Temperatura: la mioglobina inizia a denaturare al raggiungimento dei 60°C ed è completamente coagulata a 70-75°C; il monossido di azoto può legarsi con la proteina solo al di sotto di queste temperature, pertanto più tempo ci mette il pezzo di carne a superare i 60-70°C, più possibilità avrà il monossido d’azoto di penetrare negli strati più profondi.
Una volta avvenuta la completa denaturazione della mioglobina, quella che si sarà legata all’NO o al CO rimarrà tra il rosa e il rosso, mentre la restante diverrà marrone-grigia. Per tale motivo, cuocere un pezzo di carne ad una temperatura più bassa ci dà più tempo utile alla formazione di uno smoke ring profondo e sfumato, mentre cuocere a temperatura più alta ci farà ottenere uno smoke ring più sottile ma più marcato, anche per effetto della traspirazione dei succhi che riporta in superficie la mioglobina.
Vi ricordate il brisket cotto per 36 ore in sous-vide e per altre 3 ore nel kettle con presenza di fumo generato dalla combustione di chunck? E’ giunto il momento di riportarlo alla memoria.
Smoke Ring? non pervenuto !A questo punto è abbastanza semplice intuirne il motivo: questo brisket è stato portato e mantenuto in 36 ore di sous-vide alla temperatura di 68°C, quindi quando è stato tirato via dal sottovuoto la mioglobina era in gran parte già denaturata, o prossima a diventarlo. La successiva fase è stata effettuata ad una temperatura più elevata (135°C) rispetto a quella normalmente utilizzata negli smoker, quindi probabilmente la quantità di NO prodotta nel fumo era grande, ma questo non aveva più la possibilità di incontrare mioglobina disponibile a reagire per formare lo smoke ring. Il sito seriousseats.com suggerisce di usare sale con nitriti per ottenere la colorazione rosa ad anello tipica di un buon barbecue, e già che c’è, propone anche di aggiungere nel sous-vide qualche goccia di fumo liquido.
What else?
Come avete avuto modo di leggere, i fattori che influenzano la formazione di uno smoke ring sono molti: tipo di carburante, pH superficiale della carne, apporto di umidità durante la cottura, temperatura più o meno alta. Tutti questi aspetti e il loro variare durante un tempo di cottura più o meno lungo, lasciano una traccia nella carne così come l’alternarsi di stagioni più o meno secche modifica l’aspetto degli anelli di un albero. Quando la temperatura varia nel corso di una cottura lunga, magari perché non siamo riusciti a tenere il dispositivo perfettamente stabilizzato, si formano delle aree più scure nello smoke ring, circondate da aree più sfumate. Chiaramente, solo un occhio veramente esperto (leggasi: superimpallinato del barbecue) può riuscire a “leggere” uno smoke ring intuendo la “storia” della cottura di quel pezzo di carne, come se fosse un’impronta digitale lasciata sul luogo del delitto; al contrario, la maggioranza di noi si limita a dargli una occhiata soddisfatta e a dare via al moto compulsivo alle mascelle.
Fino a pochi anni fa, lo smoke ring era un elemento di valutazione adottato dai giudici nelle gare barbecue: oggi si raccomanda di non tenerlo in considerazione, poiché si era diffusa la pratica tra i concorrenti di utilizzare sali addizionati ai nitrati per ottenere un marcato e rossissimo strato colorato.
Giungi alla fine dell’articolo, prima dell’elencone finale, è giusto ribadire un concetto fondamentale: lo smoke ring non influisce assolutamente sul sapore finale della preparazione, esso costitusce solo un risultato estetico particolarmente apprezzato dagli appassionati di cucina al barbecue.
Tutti i seguenti suggerimenti contribuiscono alla formazione di un marcato smoke ring, ma alcuni di essi influiscono negativamente su altri aspetti di una preparazione al barbecue (ad esempio sulla formazione di un bark solido), e vanno in qualche modo bilanciati nella pratica.
Un ultimo consiglio: aumentare la densità del fumo riempiendo di chunk il vostro smoker NON migliorerà lo smoke ring, ma sicuramente peggiorerà il sapore della vostra preparazione, che risulterà sovraffumicata. Pensate a salvare il gusto del vostro barbecue, perché alla fine è quello che conta maggiormente.
Se volete leggere tutto il lavoro del Dottor Greg Blonder intorno alla formazione dello smoke ring, potete trovarlo qui
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