Barbecue e Pizza: 5 errori che facciamo spesso

Non saremmo italiani se non amassimo la pizza.

La mangiamo minimo una volta a settimana, ordinandola da egiziani, tunisini, ma anche da compatrioti che hanno aperto il locale dopo un corso di formazione di un paio d’ore.
La amiamo al punto da non disdegnare neppure di ordinarla all’estero, con la scusa che “se sono italiani sarà fatta bene”, per poi trovarci davanti a dischi sottili e biancastri pagati per altro, spesso e volentieri, sopra la decina di euro.

Non so dirvi se sia una causa o una conseguenza, ma nonostante il grande lavoro di comunicazione che molti professionisti hanno messo in atto negli ultimi anni, sulla pizza si respira ancora cattiva aria: siamo spocchiosi, sapientoni, arroganti, eppure ancora altamente disinformati, cosa ben più grave se è (o dovrebbe essere) il nostro mestiere.

Da un lato chi (mi duole dirlo, soprattutto nelle province nordiche) fa grande uso di farine da cantiere, quantità astronomiche di lievito e maturazioni di 48…minuti; dall’altro la finta avanguardia, che sbandiera forni a legna, lievito madre e lievitazioni (concetto errato in tal contesto) di migliaia di ore, spesso senza senso di esistere perché in disaccordo con il prodotto obiettivo o comunque mal condotte.

Come sempre, la verità sta nel mezzo.

Dal canto mio, non sono un professionista, ma un semplice nerd degli impasti drogato  di crescita e sperimentazione, che vi ricordo essere il cuore di tutta la cucina, specie della panificazione.

La sperimentazione è il cuore della panificazione e porta a non poche soddisfazioni, anche nella cottura al barbecue.

Mi rivolgo quindi a voi, pizzaioli amatoriali del contesto casalingo, che vi state cimentando non solo nella pizza dentro alle mura domestiche, ma addirittura desiderate un connubio con il vostro amichevole Kettle di quartiere; purtroppo, avendo come unico metro di paragone la scadente Pizzeria da Mario dietro l’angolo, spesso i prodotti finiti vi lasciano con l’amaro in bocca, riempiendovi di domande e scoraggiandovi l’animo.
Ma del resto, se siete qui, nel 90% dei casi siete appassionati di Barbecue, una razza allenata alla ricerca della perfezione e del dettaglio; perché dovremmo quindi accontentarci di una pizza di basso livello solo perché Mario ce la serve ogni sabato?

Vi abbiamo già dispensato di una corposa guida alla pizza al barbecue, che vi invitiamo a leggere in caso non l’aveste ancora fatto.
Oggi però ci occupiamo dei 5 errori più comuni che osservo quotidianamente in questa pratica, fiducioso che possano esservi utili.

1) Non considerarlo un compromesso

Partiamo dal concetto che mi sta più a cuore.
I motivi che solitamente spingono ad adottare questo metodo possono essere svariati, dall’attaccamento alla cultura Barbecue, alla convinzione che il carbone possa regalarvi ottime soddisfazioni, fino a quella forse più corretta, l’investimento minore rispetto a forni a legna/gas che arrivano a toccare le migliaia di euro.

Eppure, non importa cosa pensiate o vi diranno: per il momento, la cottura della pizza al barbecue è e deve essere considerata un compromesso.
Può sembrare un concetto provocatorio e scoraggiante, ma preferisco essere da subito chiaro e conciso; un dispositivo a carbonella non potrà MAI sostituire del tutto un forno appositamente studiato per lo scopo.

Ciò non significa che con il giusto metodo non si possano raggiungere ottimi risultati, anzi, ma è bene prenderne coscienza: questo ci permetterà di avere chiara la situazione, adattarci al contesto, prendere la giusta strada vista nel precedente articolo e alzare in tal modo la proverbiale asticella.

Perché è un compromesso?

Pensate alla conformazione di un forno a legna classico: si tratta di fatto di una spessa cupola costruita in materiale refrattario, che accumula il calore emanato dal combustibile e lo rilascia costantemente in tre forme: conduzioneconvezioneirraggiamento; la prima consente di cuocere la base della pizza, la seconda contribuisce allo sviluppo della pasta e la terza influisce sulla doratura superficiale.

Acquistando una pietra refrattaria e posizionandola nel nostro Kettle con coperchio, possiamo senza dubbio sfruttare la conduzione e i moti convettivi generati da una cottura indiretta, ma il nostro dispositivo in acciaio smaltato non avrà mai lo stesso potere radiale di un refrattario.

Ne consegue che, dovendo alzare il coperchio durante il tempo richiesto, le nostre pizze appariranno spesso pallide e bianchicce in superficie.

A meno di non evitare i prossimi errori.

2) Non avere i giusti accessori

Mettetelo in conto: dati i presupposti appena citati, la cottura della pizza al barbecue richiede espressamente i giusti accessori.
I motivi li abbiamo appena trattati, e capirete voi stessi come l’acquisto della sola pietra refrattaria non risolva il problema: vi aiuterà sì a cuocere la base per conduzione, ma dovendo alzare il coperchio perderete quel poco apporto in termini di irraggiamento e farete per altro uscire il calore dalla camera, diminuendo drasticamente l’ausilio dei moti convettivi.

Il modo migliore per evitare pizze pallide e crude è quello di dotarvi di uno dei tanti Ring disponibili in commercio; si tratta in parole povere di vere e proprie lamiere di acciaio in forma anulare,  che vi consentono di innalzare il vostro coperchio e di tenerlo sempre sul dispositivo per gestire invece tutto dall’apertura frontale.
Inoltre, l’aumento di spazio vi consente di cuocere, oltre alla classica tonda, anche pane e pizze in teglia.

Il Kit Pizza con Ring di Moesta-BBQ (esterno)

Solitamente tali accessori vengono venduti insieme a una pietra, a un deflettore per le fiamme, una pala per infornare e nel migliore dei casi a un comodo sportello utile a coibentare maggiormente la camera di cottura.

Abbiamo testato in lungo e in largo uno di questi modelli, e una recensione è in direttura d’arrivo.

Se condotta con criterio, la cottura di una pizza al barbecue può portare a ottimi risultati, come ravvisabile dal cornicione in foto, perfettamente dorato

Altri accessori utili allo scopo sono il termometro laser per misurare la temperatura della pietra e una spazzola con setole in ottone per la pulizia della stessa dopo ogni infornata.

3) Non usare il combustibile corretto

Vi siete affezionati ai vecchi e cari bricchetti di carbone al punto da utilizzarli per qualsiasi cottura, eppure è sempre bene (qui come in altri casi) adattare metodo e risultato.

La pizza ha bisogno di calore elevato, è un dato di fatto; a seconda della tipologia le temperature variano da un minimo di 300 ad un massimo di 500 °C, e il motivo principale risiede nell’idratazione presente nell’impasto: l’obiettivo primario è quello di far evaporare il più in fretta possibile l’acqua in eccesso, mantenendo però quella assorbita dalla maglia glutinica. In tal modo l’impasto resterà soffice e scioglievole e con l’interno perfettamente cotto; una cottura prolungata prosciuga tutta l’umidità faticosamente catturata durante l’esecuzione della ricetta, rendendo il prodotto finito pesante e legnoso (in gergo biscottato).

Ovviamente, una pizza più alta come quella in teglia romana richiederà temperature minori per poter cuocere anche l’interno (280-330 °C), mentre la classica Napoletana è sottile al punto da poter cuocere in tempi brevissimi con valori che vanno dai 380-500 °C a seconda dei gusti del pizzaiolo.

Il termometro del Pizza ring di Moesta-BBQ è quasi a 350 °C, è tempo di infornare

Se un bricchetto classico genera circa 8-10 °C, capirete benissimo come poco si presti all’utilizzo in termini di spazio dovendo gestire la cottura in maniera indiretta.
La soluzione ideale è, nella maggior parte dei casi, la legna, con menzione d’onore per faggioquercia, che hanno resa maggiore e vengono venduti spesso compressi e di egual misura.

Tronchetti di Faggio compressi.

N.B. Di nuovo, come nel precedente articolo, vi ripetiamo una postilla necessaria: i moderni Kettle sono strumenti testati per rispondere fino a 800 °C.  La legna ardente dura (come faggio e quercia) raggiunge nel punto di combustione (quello più vicino alla vernice del braciere) una temperatura compresa tra i 700 e i 1000 °C, valori quindi fuori scala e non coperti da garanzia; sotto tali condizioni le zone limitrofe alla fonte di calore iniziano a sviluppare piccole bolle sulla vernice, un fattore che a lungo andare può portare alla formazione di ruggine o a deformazioni della vasca, delle alette e di altre parti. Temperature come quelle da noi indicate tuttavia (350-400 °C) sono evidentemente più basse rispetto ai valori limite, e non apportano in alcun caso problematiche di questo tipo.
In sintesi, potete magnarvi la vostra pizza in assoluta e totale tranquillità.

4) Gestire male la temperatura

Domanda da quizzettone: qual è la pratica che ogni Pitmaster effettua scrupolosamente in preparazione ad ogni cottura?

Esatto, il setup.
Cuocere la pizza al barbecue non fa eccezione, e anzi, compiere i giusti passi è essenziale per il raggiungimento di un buon risultato.

Il setup per la cottura della pizza con il tronco di legno di faggio

Anzitutto occorre studiare gli spazi, in modo da posizionare la pietra refrattaria il più possibile vicino a voi (se avete acquistato un Ring con deflettore vi aiuterà moltissimo) e il combustibile dal lato opposto, preferibilmente in maniera ordinata in modo che non cadano frammenti sotto la pietra stessa.
Potete usare, ad esempio, i separatori in dotazione di un Weber Mastertouch o i Cesti separa carbone.

Cesti separa carbone Weber.

Predisponete un letto di bricchetti accesi e appoggiate sopra il tronco di legna per avviare la combustione; una volta che il dispositivo è giunto a temperatura, mettete la pietra a scaldare.
Non bisogna avere fretta, dotatevi di termometro laser e attendete che sia almeno a 300-320 °C; il calore accumulato a quel punto sarà sufficiente a cuocere la base a puntino, mentre la camera sarà abbastanza satura da permettervi di sfruttare i moti convettivi per lo sviluppo e la doratura superficiale.

Dopo l’infornata, chiudete lo sportello per evitare di disperdere troppo calore, e girate la pizza di 180 ° a metà cottura per uniformare la cottura, in quanto la fonte è unica e risiede nella parte posteriore.

Premuratevi di pulire la pietra da eventuale farina rimasta, che potrebbe bruciare e rovinarvi la base.

La cottura della base della pizza, senza residui di bruciatura

La cottura della base della pizza, con residui di bruciatura

Ultimo ma importante consiglio: nonostante abbiate comprato il Ring e risolto in tal modo molte delle problematiche della cottura di una pizza al barbecue, il vostro dispositivo continua a non essere un forno a legna in mattoni refrattari e il metodo di cottura rimane quindi un compromesso.

Schema dell’effetto di conduzione e convezione in un Kettle con pietra refrattaria.

Volenti o nolenti, il Kettle non accumula un eguale quantitativo di calore, che viene disperso (anche se in misura minore) dall’apertura frontale. Il mio consiglio quindi è quello, dopo ogni infornata, di chiudere lo sportello per ripetere la saturazione, controllando sia la temperatura della camera che quella della pietra.

5) Non adattare l’impasto al metodo

Last but not leastl’impasto.
Ancora, ne abbiamo già parlato, ma le fantomatiche “ricette” rimangono la fonte di errore più comune nella panificazione, non solo quella condotta al barbecue.

Se volete iniziare a fare pizza e pane abituatevi a pensare che non esistono ricette standard: al variare del contesto, cambiano le dosi, i tempi e le procedure.
Vi assicuro che nel corso degli anni difficilmente mi sono appuntato grammature e procedimenti, in quanto possono costituire una linea guida solo se le si riesce a interpretare, e in caso contrario contribuiscono solo a confondere l’utente.

E’ utile invece parlare di percentuali e metodi.
Memori del fatto che la cottura in un Kettle è un compromesso, giocare sull’impasto è essenziale per sfruttare le componenti di espansione e caramellizzazione che risultano diminuite in un dispositivo non convenzionale.

A parer mio, quindi, il metodo migliore è quello dell’impasto indiretto tramite biga, un pre-impasto duro costituito da farina forte (300 W o superiore), il 44% di acqua e l’1% di lievito di birra fresco sul peso della farina, lasciato maturare per almeno 16 ore a una temperatura di 18-20 °C in un ambiente senza sbalzi.

Come si presenta la biga PRIMA e DOPO la sua maturazione.

La percentuale di innesto che consiglio è del 50% (calcolata in base alla farina della biga in rapporto a quella totale dell’impasto), che permette di avere un buon ausilio e mantenere una parte di nutrimento attiva per la fermentazione finale. Il reimpasto avverrà poi con un ulteriore 50% di farina (W tra i 280 e 330), l’acqua rimanente fino al raggiungimento dell’idratazione desiderata (che consiglio, con questa forza e condizioni, intorno al 70-75%), il 2.5% di sale integrale sul peso della farina totale, lo 0.5% di malto diastatico (un’efficace ricarica degli zuccheri, esasperati dalla fermentazione della biga) e lo 0.1% di lievito di birra fresco, sempre sul peso della farina totale, utilizzato come starter per la seconda fase.
Il tutto riposerà, a seconda dei tempi a disposizione, a temperatura ambiente per altre 2-3 ore, o in frigorifero a 4° dalle 12 alle 24 ore.

L’effetto della maturazione e della lievitazione meccanica di un impasto dopo una lunga puntata in frigorifero.

In cosa ci aiuta la biga?
Di fatto, quel 50% di innesto costituisce il vostro agente lievitante, un corposo ausilio in termine di espansione durante la prima fase della cottura.

Sezione del cornicione dopo la cottura, perfettamente alveolato

Non solo: una grossa percentuale dell’impasto risulta altamente scomposta a livello molecolare, le grosse catene di amminoacidi si semplificano nei lunghi tempi di maturazione, aumentando la digeribilità e la presenza di zuccheri riducenti, che sappiamo essere un parametro fondamentale per la reazione di Maillard.

Grazie all’ausilio della biga, l’impasto sviluppa in cottura e la superficie risulta perfettamente dorata

Tutto chiaro?
E allora che aspettate, correte a cuocervi una pizza!

[Crediti | Link: BBQ4All | Immagini: Italian Style BBQ Team, Alessandro Trezzi]

Gianfranco Lo Cascio

View Comments

  • Ciao Alessandro, stavo rileggendo l'articolo con piú attenzione. Non mi é chiaro il seguente passaggio: "La percentuale di innesto che consiglio è del 50% (calcolata in base alla farina della biga in rapporto a quella totale dell’impasto), che permette di avere un buon ausilio e mantenere una parte di nutrimento attiva per la fermentazione finale. Il reimpasto avverrà poi con un ulteriore 50% di farina ". Una volta fatta la biga e lasciata riposare, in cosa consiste questo innesto? quanto tempo deve passare tra questo innesto e il successivo reimpasto finale? Grazie mille
    Alessio

    • Ciao Alemcm88, perdona l'enorme ritardo ma ci era sfuggito questo commento.

      Ad ogni modo c'è stata un pochino di confusione: l'innesto E' la biga, ovvero si intende che dato un certo quantitativo di farina totale dell'impasto, avere un innesto del 50% significa utilizzare metà della farina totale a disposizione.
      Dopodiché l'impasto finale avverrà con l'ulteriore metà farina e i restanti ingredienti.

      • Grazie mille Alessandro, nessun problema per il "ritardo". Devo ringraziarti perché grazie ai tuoi articoli ho iniziato ad informarmi sul mondo della pizza in alcuni forum e libri.. Buona giornata! Alessio

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