La pigmentazione della pelle può variare dal bianco al nero/viola, passando per il giallo. Oltre a connotazioni puramente genetiche, anche l’alimentazione può influire sulla pigmentazione della pelle di un pollo, ed avere, quindi, ripercussioni a livello gastronomico. Solitamente, ma non è una legge universale, un pollo con pigmentazione gialla ha un sapore più intenso e una maggiore quantità di grasso. Non è sempre vero, poiché i pennuti allevati in batteria intensiva, alimentati con integrazione di carotenoidi, spesso presentano una pigmentazione giallastra pur mantenendo tutte le caratteristiche di un pollastro sfortunato.
Scegliere un galletto ruspante sarebbe sempre auspicabile, ma a volte poco pratico. L’unico modo è acquistarlo in cascina da un allevatore locale, in cui sia possibile verificare la libertà degli animali di poter ruspare in tranquillità. È sempre consigliabile acquistarlo già spiumato, eviscerato e opportunamente raffreddato, per tenere sotto controllo la proliferazione batterica.
Tenete a mente che un galletto ruspante avrà un sapore molto intenso e la sua carne sarà tenace e difficile da intenerire in cottura. In compenso, con la tecnica di esecuzione corretta, si vivrà un’esperienza gastronomica di elevato profilo.
Abbiamo appena individuato il nostro galletto da grigliare. Adesso dobbiamo focalizzare in anticipo il risultato che vogliamo ottenere.
Quando le proteine, sottoposte a calore, reagiscono con aminoacidi e zuccheri riducenti, si formano delle nuove molecole molto profumate e saporite. Questa fenomeno, come detto, prende il nome di Reazione di Maillard, ed anche il nostro pollo non è immune da tutto ciò, anzi.
Come per la bistecca, i parametri sono sempre gli stessi: assenza di umidità, temperature superiori ai 160°C, presenza di zuccheri riducenti. Rendere la pelle del pollo croccante può diventare però un affare un pochino più complicato: lo strato del derma del pollo trattiene delle molecole di acqua all’interno. Anche l’asciugatura potrebbe non essere sufficiente, poiché queste molecole sono in qualche modo “intrappolate” nella pelle. Per riuscire nell’intento dobbiamo disidratare prima la pelle a temperatura bassa e, quando lo strato di pelle sarà visibilmente asciutto, applicare il calore necessario per fare avvenire le reazioni di cauterizzazione.
Dimentichiamoci quindi il calore elevato e diretto e iniziamo ad entrare nel mondo delle cotture “ibride”. Il nostro galletto, aperto a libro, inizierà il suo percorso a temperature relativamente basse, comprese tra i 120°C e i 140°C con il grill in setup indiretto, e lo lasceremo asciugare pian pianino. In questa fase, saranno due i benefici che otterremo: pelle che via via si disidrata, e carne che si contrae il meno possibile (grazie alla bassa temperatura ) trattenendo moltissimi liquidi. Indicativamente, in un tempo compreso tra 40 e 60 minuti, la nostra pelle sarà completamente disidratata e, con ogni probabilità, la carne sarà molto vicina al punto di cottura ideale.
Quindi andremo a spennellare la pelle con dell’olio extravergine o con del burro fuso, e sposteremo il nostro galletto sul calore diretto (non troppo elevato) con la pelle rivolta verso il basso. Questa operazione, grazie alla totale assenza di umidità, alla temperatura già alta e al velo di grasso capace di veicolare meglio il calore, farà letteralmente “friggere” la pelle rendendola croccante, scura e saporita.
Per ottenere quindi la pelle croccante, dobbiamo tamponarla e asciugarla perfettamente con della carta da cucina e poi cuocere il galletto in modo indiretto ad una temperatura compresa tra 120° e 140°C. Successivamente, quando la pelle sarà ben asciutta e tutta l’acqua evaporata, spennelleremo con dell’olio e passeremo a calore diretto moderato per la fase detta di “Crisp” (“croccantizzazione”).
Per ottenere succulenza, come già detto molte volte, dobbiamo fare il possibile per trattenere i succhi e parte dei grassi sciolti all’interno della carne. Per capire come fare, dobbiamo prima assimilare gli effetti che il calore ha sulla carne e questo è presto detto: quando le fibre vengono sottoposte a calore subiscono una contrazione sia in modo longitudinale che trasversale. Aderiscono una all’altra ed espellono l’acqua che le circonda. Questa contrazione di fatto “strizza” quindi la carne provocando la fuoriuscita dei liquidi. L’entità della contrazione aumenta con l’aumentare della temperatura.
Sono stati fatti degli studi e si è stabilito che la contrazione delle fibre inizia a 55° e termina con la carbonizzazione. La finestra delle temperature che ci interessa, però, è quella compresa tra 55°C e 75°C. La prima indica l’inizio della coagulazione delle proteine mentre la seconda, invece, indica la fine di questo processo, cioè il punto in cui il colore della carne cambia dal rosso al grigio marrone (bianco, nel caso del pollo). In breve, i 55°C ci indicano il grado di cottura “al sangue” mentre i 75°C ci indicano la soglia della carne “ben cotta”. La soglia di cottura “media” è quindi a metà tra i due limiti della scala. A questo punto sappiamo che per ottenere una cottura “al sangue” si dovranno raggiungere i 55°C al cuore, per una cottura media i 65°C, per una “ben cotta” i 75°C. Da questa soglia in avanti non avviene alcuna modifica alle proteine ma di contro, l’effetto di contrazione dovuto al calore, incalza tremendamente. In poche parole, da quella soglia in poi, la cottura opera una progressiva perdita di liquidi e nulla più, cosa che dobbiamo e vogliamo assolutamente evitare.
Per stabilire con precisione millimetrica il grado di cottura, sarà sufficiente dotarsi di un termometro a sonda con una termocoppia affidabile (costa pochi euro).
Il pollo non può essere servito al sangue o a cottura media, pertanto il valore che ci interessa è solo quello riferito al “ben cotto” (non meno di 75°C). Allo stesso tempo, non stiamo preparando un bollito, non vogliamo che il pollo, pur essendo tenero e succulento, non sia cotto al punto da sfaldarsi completamente. Questo punto di completa rottura del tessuto connettivo inizia al raggiungimento degli 85°C al cuore. Con quello che abbiamo appena stabilito, siamo in grado di fare un riepilogo:
Per ottenere un galletto alla griglia succulento e cotto alla perfezione dobbiamo arrivare ad una temperatura interna di almeno 75°C e non superare gli 85°C per evitare di “stracuocerlo”.
Residui di piume e lanugine sono elementi sgradevoli sia da vedere che da mangiare. Per liberarsene sarà sufficiente utilizzare delle pinzette come quelle per spinare il pesce, ma il metodo più veloce è senz’altro quello di usare un cannello alimentare (quello della creme brulèe per capirci) e bruciare con la fiamma tutti i residui. Bisogna solo prestare attenzione a non concentrare in un punto il calore: passarlo con moto ondulatorio a circa 10 cm dalla superficie, ci permetterà di rimuovere i residui senza intaccare la carne.
Il galletto, specialmente servito con la sua pelle saporita e scrocchiarella, si sposa benissimo con salse o glasse agrodolci. Olio e aceto di vino bianco, ma anche miele e succo di limone (in parti uguali), rappresentano un ottimo abbinamento. Meglio usare il sale o i bagnetti di olio e aromi solo poco prima di servire. Questo aiuterà a preservare l’integrità dei sapori, e tratterrà molti più succhi rispetto alla salatura preventiva.
Non vi resta, giunti a fine pagina, che mettere in pratica i nostri consigli, e dirci nei commenti come è andata.
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