Lo abbiamo detto più volte: sebbene il concetto di gourmet venga ormai sbandierato in lungo e in largo senza cognizione di causa, in realtà sottintende una ricerca verso l’equilibrio, l’accostamento dei sapori e delle consistenze e la sperimentazione verso nuove idee, anche nel mondo della carne macinata.
Per questo motivo, quando mi reco in un hamburgeria di tale stampo, cerco di evitare il più possibile di scombinare le voci sulla carta, fidandomi invece di chi ha concepito la ricetta, spesso e volentieri a seguito di un attento e rigoroso studio.
Capita tuttavia di uscire con amici che della ricerca se ne fregano altamente, e al contrario si divertono a creare abominevoli mischioni accaparrandosi tutto ciò che gli capita a tiro: “Vorrei il terzo hamburger sulla lista ma con il pane del primo, la carne che ha scelto lui, niente salse e doppio formaggio.”
“Effàttelotu”, risponderei io.
Abitudini malate insomma, a volte dettate da esigenze di allergia o intolleranza, altre da puro scapigliamento. E proprio da queste malsane tendenze potrebbero aver preso spunto Riccardo Cortese e Federico Pinna, creatori della start up Foodation, “costruttore seriale di format di fast casual dining”, citando dal sito ufficiale. E negli anni ne hanno costruiti parecchi, sparsi tra nord e centro Italia: la pizza di Briscola, il kebab di Mariù e gli hamburger di Macinata, Burbee, Polpa e Trita, tutti con lo stesso stile sartoriale nella preparazione dei pasti su misura.
Non a caso, Sarti di Burger è il claim di Macinata, una delle prime creazioni con sede a Milano e Firenze, dove il concetto di “combinazione” è spinto agli estremi.
Motivo in più per parlarne insieme oggi, in occasione della nostra visita all’ombra della Madunina.
Un locale dagli interni abbastanza minimali, semplice e senza particolari pretese, nel quale il concetto di sartorialità viene richiamato dal pattern delle pareti pied-de-poule e principe di Galles, con qualche tocco anni ’50 qua e là.
Appena entrati, sulla destra vi è un piccolo scaffalino che invita a recuperare carta e penna, o meglio una matita e il caratteristico menu precompilato e compilabile, una vera e propria lista tra varianti di pane, carne, ingredienti, salsa, bibite e contorni, ognuna da spuntare a piacimento.
E così è possibile scegliere tra carne di Irish Black Angus, Uruguay, Wagyu e Veggie nell’unica grammatura disponibile di 175g (una volta era possibile scegliere il formato), raddoppiare con un ulteriore patty, selezionare la cottura e personalizzare con ben 21 ingredienti tra bacon, patè, verdure e formaggi, una decina di salse, racchiudere il tutto tra un bun classico, con semi di sesamo o integrale (realizzato artigianalmente da un forno e senza ingredienti di origine animale), affiancare con French Fries o Onion Rings e scegliere in ultimo bevande (8 gli analcolici, 2 birre alla spina e 5 in bottiglia, di cui una artigianale), dolci e caffè.
Ogni voce (a meno di pane, pomodoro, insalata, cetriolo, ketchup e maionese) è accompagnata dal proprio prezzo, che facilità in maniera rapida il calcolo del conto totale, esente da servizio in quanto il locale è privo di camerieri.
Una volta consegnato l’ordine alla cassa si viene dotati di un pager, un dispositivo elettronico che riporta il numero del tavolo sul display e vibra non appena l’ordine è stato prontamente realizzato dai due ragazzi in cucina.
In anni di ossessione (e di calorie prese) ho trovato quello che ritengo un valido equilibrio per la ricetta di un hamburger, e data la possibilità mi sforzo di applicarlo a ciò che deve finire sotto i miei denti: un ingrediente croccante, un formaggio cremoso per evitare le salse e qualcosa che dia una sferzata di sapore; vado quindi di patty di Irish Black Angus, bacon, mozzarella (che in cucina scottano rapidamente sulla piastra) e pomodori secchi, il tutto racchiuso da un bun integrale, per dare un tocco rustico.
French Fries e una Moretti rossa alla spina completano l’ordine, per un totale di 16.7 euro, non male per la media milanese.
Riscontriamo purtroppo qualche magagna nella gestione della comanda: di tre panini ordinati, in due manca qualcosa, costringendoci a tornare al bancone per riferire la dimenticanza.
Poco male, gli errori capitano, ma si tratta inevitabilmente di una diretta conseguenza dell’estrema variabilità delle ricette, che può creare non poca confusione in cucina.
Recuperato il malloppo, si parte con l’assaggio: saporita e succosa la carne, millimetrica la cottura media richiesta, intelligente la scelta di piastrare la mozzarella per aumentarne la cremosità e avvicinare la temperatura tra le diverse parti, indovinato l’equilibrio tra gli ingredienti.
Ah momento, quello l’ho scelto io.
Nota dolente per quanto riguarda il pane, di buona struttura, dal sapore non invadente ma non particolarmente morbido e a tratti leggermente asciutto.
Le patate non sono malvage, croccanti ma un po’ secche.
I veri difetti, tuttavia, sono nascosti, e si riferiscono a un format che, pur apparendo divertente e alternativo, si porta dietro uno svantaggio relativamente scomodo per il ristoratore.
Il cliente medio, si sa, è poco affine alle imperfezioni e terribilmente pretenzioso; in assenza di alternative ne denuncia la mancanza, mentre in un contesto “sartoriale” si dimostra spesso spaesato, affaticato e in grado di creare mischioni esagerati e senza senso di esistere, per poi attribuire la colpa alla cucina.
I ragazzi di Foodation, tuttavia, si sono dimostrati attenti al trend, alle analisi e al feedback del cliente, sintomo di una ristorazione intelligente, ricercata e funzionale, che sta riscontrando per altro il meritato successo.
Indovinato è, ancora una volta, l’inserimento della sezione Prova le nostre ricette, con una decina di voci precompilate per le quali l’unica scelta riguarda il tipo di carne, scongiurando il pericolo pigrizia.
Vi servono altri motivi per correre a provarlo? Io credo di no.
[ Crediti: Macinata, Foodation, Scatti di Gusto, Street Food a Milano ]
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