In un bel giorno di metà maggio, Pisa si è ritrovata disseminata di ammiccanti volantini: “La vera bistecca fiorentina la facciamo noi!”
Evviva, finalmente qualcosa di vero e autentico in questa babele di bistecche alla fiorentina, tutte teoricamente perfette, tutte “la mia è meglio della vostra”.
In Toscana è così: è un orgoglio regionale, è un punto d’arrivo per ogni grigliatore (chiamato bisteccaio nel volantino) ed è soprattutto spunto di lite. Non ci credete? Fidatevi; in alternativa, seguite qualche gruppo su qualche social a caso.
Continuando nella lettura del volantino, salta inevitabilmente all’occhio l’offertona: bistecca alla fiorentina, grammi 7-800, non 34 euro bensì 17 euro, con lo sconto! Benissimo, se c’è la qualità non discuto sul prezzo, magari quei “7-800 grammi” mi mettono un po’ di malinconia, visto che si parla di vera fiorentina, perfetta,
Ancora sul volantino: “Vecchi bisteccai ti propongono carni di alta qualità con la perfetta cottura dei loro bracieri” – mi stanno convincendo! Vera! Alta qualità! Perfetta! Non c’è dubbio, a I Condotti hanno un nuovo cliente. Vado. Subito, stasera: prenoto.
Il locale è pulito, fresco, luminoso, ma a me rimane un pensiero fisso: la vera fiorentina, altro che elementi di design! Un grande monitor attaccato alla parete, con una monografia sui Ricchi e Poveri, che andrà in onda per tutta la mia permanenza nel locale, attira la mia attenzione. Dopotutto per incorniciare l’eccellenza italiana, la vera fiorentina, niente di meglio che l’eccellenza italiana del canto, almeno secondo i più quotati critici sovietici. Benissimo.
Mi siedo e spulcio il menù, inutilmente: voglio la vera fiorentina, al massimo per ingannare l’attesa un bell’antipasto toscano e dei ravioli ripieni di mucco pisano al ragù. Sì, mucco pisano, è scritto bene così. Poi vi spiego.
Quindi bistecca alla fiorentina, vera mi raccomando, 7-800 grammi (e qui sospiro), ma anche una tagliata di manzo con funghi porcini. Preferirei una tagliata di manzo in purezza, “olio e via”, ma non è prevista. Non è un problema.
Saluto col mio miglior sorrisone la cameriera e, sfoggiando la faccia più umile e smarrita che riesca a fare (provata a lungo davanti allo specchio), chiedo cortesemente “ma la bistecca e la tagliata…”
-“la bistecca è una bistecca alta un dito e mezzo, mentre la tagliata è alta anche tre dita e viene servita tagliata!”
Eh, ma va?
-“no scusi, volevo dire… la bistecca e la tagliata che provenienza hanno?”
-“uh?”
-“eh, piemontese, marchigiana, black angus…queste cos…”
-“Aaaah, che ne so.”
-“Bene.”
-“Se vuole chiedo al bisteccaio”
Nulla, non ho più avuto risposta.
Oh, ma se mi portano la vera fiorentina… sapranno loro come fare!
Mi sento scorrere un brividino lungo la schiena.
Ditemi voi, precisamente, cosa spinge un ristorante dai prezzi tutto sommato non stracciatissimi, che vuole (giustamente) puntare sulla tradizione e sulla qualità, a servirmi un piatto con un pezzetto di formaggio non meglio precisato insieme a una bustina di miele Columbus in offerta alla Metro?
No, davvero, posso capire tutto ma la bustina monodose della marca in offerta alla Metro, no…dai!
Quanto sarebbe stato meglio dire “questo è il formaggio proveniente dalla famiglia tal dei tali e il miele dell’azienda artigiana tizio e caio, ricavato da api esclusivamente pisane ronzanti su fiorellini e margheritine”?
Non chiedetemi se fosse buono, non l’ho aperto. Cercate di capirmi.
Ma andiamo avanti: gli affettati. Capocollo, salame, prosciutto. Qualche notizia sulla provenienza? Qualche particolarità? No. Potenzialmente gli stessi affettati nella bustina sottovuoto delle grandi distribuzioni, quelli che ti getti in tavola quando hai il frigo un po’ vuoto. Sapore? Da offerta ai soci Coop, precisamente. Presentati così, basandosi solo sul gusto, dico “meh”.
Buonini, niente di che.
Crostino con patè di fegatini alla toscana (presentato freddo) e crostino con patè di olive. Commestibili. Niente di più. Anche qui, per quanto mi riguarda, siamo al livello dei barattolini commerciali. Bruschetta al pomodoro: pane, con sopra dei pomodorini ciliegini (Pachino); non ho altro da dire.
Benissimo, qui si fa la bistecca vera e non si vuole saziare inutilmente il cliente con antipasti e stuzzichini: è tutto concentrato sulla bistecca. D’altronde, è perfetta.
Sporco di impronte di bicchieri, calcare, colature misteriose, altre impronte inammissibili: non sono il più schizzinoso, ma questo non è da mettere in tavola. Un cenno alla cameriera, scusi, guardi qua, è tutto sporco. Lei arriva, prende il piatto e se ne va senza nemmeno chiedere scusa, alzando gli occhi. Capisco che tu sia già stanca alle 20.15 ma ti pare il modo? Sono fastidioso io, se ti faccio notare queste mancanze?
Necessaria parentesi!
Il mucco pisano è una razza tipica della zona costiera del territorio, una bestia dal manto scuro, in passato in forte rischio di estinzione, usata tradizionalmente come animale da lavoro. Vi lascio un paio di link per saperne di più.
Fattoria Di Monti – Il mucco pisano.
Tornando ai ravioli: il ragù è molto, molto rosso e in generosissima dose; il sapore è buono e molto casalingo (uso il termine casalingo senza la minima accezione negativa), forse un po’ troppo salato e acidino.
Ma questo mucco? Non lo sento.
Apro il raviolo, ne mangio il ripieno da solo: effettivamente il sapore è molto lieve, potrei dire che non sa di nulla, ma non è del tutto vero. Il povero mucco è completamente sovrastato dall’intenso ragù e sparisce del tutto: forse sarebbe stato più godibile in un più modesto “burro e salvia” o qualcosa di simile.
Per carità, piatto molto buono, azzeccata la cottura del raviolo, dispiace solo per il povero mucco pisano: avrebbe potuto esserci al suo posto ricotta e spinaci, avrebbe avuto lo stesso sapore.
La bistecca è bellissima: ampia e uniforme cauterizzazione in superficie, colore brunito, olio (che sarà necessariamente “olio quello bòno”, qui non si transige) che sfrigola, tre grani di pepe nero a guarnizione.
No, aspetta, manca qualcosa: e il filetto? Fermi tutti, ho chiesto la vera, perfetta, toscanissim
d’altronde è una “bistecca in saldo”, seppure perfetta. E vera. Va bene, pazienza: diciassette euro tasse incluse, invece di trentaquattro; mica vorrai stare a sindacare sulla presenza del filetto. Non rompere, mangia che è buona.
Primo morso sull’esterno, assieme a un po’ di grasso sfrigolante: ottima. Non particolarmente beefy, ma buona, molto “vera”.
Secondo, terzo, quarto taglio di coltello: la cottura è al sangue come chiesto senza essere cruda o fredda, il che è un’ottima cosa, ma subentra qualche problema sempre più fastidioso mano a mano che si procede verso il centro della bistecca.
La carne è magra, magra, magra, senza ombra di grasso infiltrato nelle fibre muscolari, ma il problema più grosso è il connettivo.
Avere in bocca una carne al sangue e assaporarne consistenza e texture è una bella cosa, ma ritrovarsi con strisce di connettivo praticamente non masticabile è fastidioso. Le scelte sono due: o ingoiare il boccone intero o masticare, masticare fino a staccare più carne possibile, per poi sputacchiare il pezzo duro. Non è la fine del mondo come prospettiva, anche perchè, mastica che ti rimastica, in bocca finisci per avere una sorta di bolo informe che sa di lesso. Di lesso e saliva.
Non la guardo neanche, la assaggio subito: buona, saporita, morbida, palatabile. Un sollievo.
Adesso guardiamola. Mi pare proprio una tagliata ricavata da qualcosa di alto non più di 27 millimetri. Non ho con me il calibro, ma siamo su questi valori.
Vecchio bisteccaio che fa le bistecche perfette, io sono dalla tua parte, dalla parte della tradizione e del buon cibo da valorizzare, ma perchè mi fai una tagliata così sottile? Questa è una “bistecca che mi hai tagliato nel piatto”, come quando mamma mi faceva i pezzettini perchè non sapevo tenere in mano il coltello.
Inoltre, su un taglio così sottile è anche un problema azzeccare una bella cottura uniforme, anche se effettivamente era tutta al sangue come richiesto.
Taglio? Aspetta, a proposito di taglio: sbaglio o è tagliata a casaccio? Non è controfibra, espediente meccanico che avrebbe facilitato la masticazione e reso ogni fetta più gradevole e tenera in bocca. Alcune fette sì, altre no, altre col famigerato pezzettone calloso duro in mezzo: si ripresenta ancora il bivio “la scarto / la ingoio / la sputo”.
Il solito vecchio adagio “il ragazzo ha potenziale, ma non si applica”. Carne magra, magra, magra. Non ci è dato sapere la razza, i camerieri non lo sanno e se lo chiedono al responsabile poi non te lo vengono a dire; mi fanno la bistecca bella, profumata, ma senza filetto e col collagene coriaceo; la tagliata “da un pezzo alto quattro dita” è una tagliatina – ina – ina e neanche con la malizia di tagliarla controfibra; mi servi gli affettati senza valorizzarli, parlare della provenienza, farmeli capire e apprezzare (e qui parliamo di una manovra a costo zero).
Mi metti la maledetta bustina di miele sigillata su un pezzo di formaggio “che ne so cos’è, mangialo”. Mi metti il piatto sporco.
sei toscano, pubblicizzi la tua fiorentina perfetta, la vera f
cotta su un bel braciere, inondata di olio caldo prima del servizio (olio che non ha un particolare sapore di “olio bono“, ma sono dettagli), in un ristorante pulito e ben tenuto, in un posto comodo da raggiungere e col proverbiale “ampio parcheggio” a due passi.
Ma mi caschi sui fondamentali, bisteccaio. E ti voglio anche bene ma devi provare a evolverti. Leggi due cose, spulcia qua e là, devi migliorare. Migliora, io ritorno e mi rimangio tutto quello che ho detto. Rifaccio una recensione dove ti incenso per pagine e pagine e la linko in ogni dove. Ma così ancora no, mi dispiace: forse hai la “vera” fiorentina, se la tradizione è di farla imperfetta. Ma perfetta
E per piacere, per piacere, quel miele servito nella bustina della Metro. Mamma mia.
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