Vita da coach.
Da qualche tempo BBQ4All ha lanciato questo hastag, a complemento delle foto pubblicate sulla pagina facebook in cui si vedono coach della University partire, carichi come Babbo Natale la sera della Vigilia, per andare a portare i loro “doni” ai corsisti affamati di nozioni e ciccia (ma senza renne e folletti perché finirebbero in griglia pure loro!)
Ma vi siete mai chiesti come sia davvero una vita da coach e cosa voglia dire stare dalla parte opposta del tavolo, con tutti quegli occhi puntati addosso e con la consapevolezza che, vuoi o non vuoi, chi ti ascolta ti darà un giudizio che non durerà solo per la giornata del corso, ma si trascinerà nei mesi a venire?
Sono stata corsista prima di essere coach, come tutti gli altri, e so cosa vuol dire partecipare ad un corso BBQ4All: so che si arriva lì la mattina e si trova già tutto pronto e sistemato, che si ha la sensazione di essere coccolati, che ci si diverte, so che si stringono amicizie che poi durano nel tempo, so che si mangia bene e si va via sazi e felici.
Adesso voglio descrivervi invece le sensazioni che prova un coach BBQ4All.
Innanzitutto, come ben potrete immaginare, per il coach il corso inizia diversi giorni prima di quello in cui i corsisti si ritrovano con le pinze in mano, pronti a dar battaglia. C’è la carne da ordinare o da farsi spedire, c’è da fare l’inventario, c’è da fare la spesa delle cose che mancano, c’è da tenersi in continuo contatto con le location scelte per fare i corsi, c’è da radunare tutti i coltelli, i taglieri e gli accessori che serviranno. Ma questa è solo la parte pratica della faccenda. Il coach deve anche studiare, ripassare, provare e riprovare le ricette, essere pronto a qualsiasi domanda gli venga posta, saper come intervenire per rimediare ad eventuali imprevisti.
E poi c’è la parte emotiva di tutta la questione, che è spesso la più difficile da gestire. Per prima cosa, la fifa: anche il coach più esperto potrà dirvi che le prime volte se la faceva letteralmente sotto all’idea di trovarsi di fronte venti o più omaccioni affamati (anche se per fortuna negli ultimi anni diverse signore e signorine si sono affacciate con curiosità a questo mondo) e con certezze granitiche difficili da tirar giù. Un esempio? Provate ad andare a dire a un fiorentino che volete insegnargli come si fa la bistecca. Vi tremano le gambe, non è vero?
Ebbene, il coach deve vincere la paura e deve essere così bravo da riuscire a dimostrare con i fatti ciò che sta dicendo, nonostante gli sguardi scettici di alcuni corsisti: vi posso assicurare che è una gran bella soddisfazione veder cambiare quegli sguardi e vederli passare da “cosa diavolo stai dicendo, Willis?” a “mi sono proprio ricreduto!”.
Nel mondo scolastico e pedagogico questo tipo di interazione viene definito “lezione frontale”: sei solo di fronte alla “tua” classe e le uniche cose su cui puoi fare affidamento sono la tua conoscenza e il tuo saper tener testa agli studenti. Di conseguenza la seconda cosa che un coach deve saper fare, oltre ad essere superpreparato, è farsi rispettare senza essere antipatico, creare un rapporto di fiducia e soprattutto far divertire il corsista, divertendosi con lui.
Ed è questa, a mio avviso, la parte più bella e soddisfacente:
vedere andar via i corsisti contenti, soddisfatti, che non vedono l’ora di tornare a fare il corso successivo o che sono dispiaciuti di aver terminato il percorso (e talora ce ne sono di alcuni talmente pazzi e adorabili da venire a fare lo stesso corso due volte: vi assicuro che è capitato!). Vuol dire che hai fatto il tuo lavoro e lo hai fatto bene, vuol dire che, anche se devi tornare a casa e lavare tutti gli accessori utilizzati, vai via soddisfatto e contento anche tu, anche tu impaziente di fare il prossimo corso.
Warren Beatty diceva: “Hai raggiunto il successo nel tuo campo quando non sai se quello che stai facendo è lavoro o gioco”.
Questa è la vita da coach.
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