La lingua è l’organo dove risiede il gusto, uno dei cinque sensi. Il gusto è composto da quattro sapori: il dolce, il salato, l’amaro e l’aspro. Il gelato è dolce, la focaccia è salata, il caffè è amaro, il limone è aspro”. 

La prima volta che lessi questa descrizione del gusto, avevo circa sei anni. Più di trent’anni dopo, ho ritrovato gli stessi identici concetti nel libro di prima elementare di mio figlio: nonostante il tempo trascorso, le numerose pubblicazioni scientifiche e lo spaventoso proliferare di ristoranti cinesi e sushi bar, l’umami è ancora oggi escluso dalla cultura scolastica di base, dimenticato anche nel progredire degli studi e relegato ad essere materia di approfondimento solo negli istituti alberghieri o nelle università scientifiche.

Probabilmente il nome “esotico” (umami è una parola giapponese traducibile in italiano con “saporito“, termine che nella sua accezione comune spesso viene confuso con “salato“) non ha favorito la penetrazione del suo significato nella cultura di base, se non come di un “qualcosa” collegato con cibi estranei alla nostra tradizione come la salsa di soia, l’alga kombu, i funghi shiitake e il katsuobushi. Ancora più determinante sarà sicuramente stata la “cattiva fama” che si è creata intorno al glutammato, ovvero la sostanza chimica che stimola la percezione del sapore umami, spesso accusata di essere un “elemento estraneo” al cibo, un “additivo artificiale” causa di terribili patologie come la “sindrome del ristorante cinese” o, addirittura, malattie neurodegenerative croniche come l’Alzheimer.

Eppure, le scoperte scientifiche degli ultimi dieci anni hanno evidenziato come l’umami non solo è uno dei cinque sapori fondamentali (che alcuni dicono essere in realtà sei, altri addirittura sette), ma è probabilmente il più importante. Nei prossimi paragrafi approfondiremo insieme la chimica e la fisiologia che c’è dietro l’umami, mentre nella parte finale dell’articolo riporterò alcuni esempi che dimostrano come l’umami non sia assolutamente un sapore “esotico”, ma al contrario un elemento che appartiene anche alla tradizione gastronomica italiana da tempi antichissimi.

La fisiologia del gusto

Gli organi di senso (gusto, vista, olfatto, tatto, udito) sono gli strumenti utilizzati dal nostro organismo per conoscere l’ambiente circostante. I cinque sensi funzionano tutti nella stessa maniera, ovvero con il susseguirsi di tre fasi fondamentali: nella prima, chiamata trasduzione, un recettore altamente specializzato capta il suo specifico stimolo esterno e da luogo ad una cascata di eventi terminante con lo scatenarsi di un impulso elettrico; successivamente, nella trasmissione, l’impulso elettrico viene trasferito al cervello tramite fibre afferenti che trasportano il segnale con velocità e intensità costante; nella terza fase, di integrazione, i messaggi vengono identificati dalle varie aree del cervello, confrontati con i ricordi di impulsi simili e registrati per ulteriori elaborazioni.

I calici gustativi (o bottoni o gemme) sono gli organuli del gusto dove avviene la fase di trasduzione. Si trovano in gran numero nell’epitelio pavimentoso che ricopre la lingua, in corrispondenza delle papille circumvallate, fogliate e fungiformi; sono presenti, in quantità molto inferiore,  anche sul palato, sull’epiglottide e sulla parete posteriore della faringe.  Il loro aspetto è quello di corpuscoli ovoidali allungati posti perpendicolarmente alla superficie dell’epitelio; sulla loro sommità si apre il poro gustativo. All’interno del calice, troviamo le cellule gustative, dalla forma allungata e con delle escrescenze filiformi sull’apice superiore, i peli gustativi, che sporgono nel canale. Nel polo inferiore, ogni cellula gustativa è posta in connessione con le terminazioni nervose sensoriali.

anatomia del gusto, fonte Treccani.it

Quando mastichiamo del cibo, le sostanze responsabili dei diversi sapori contenute in esso vengono solubilizzate nella saliva ed entrano in contatto con i peli gustativi dei calici attraverso il canale gustativo; queste sostanze agiscono come vere e proprie chiavi, che quando incontrano la loro corrispondente serratura (ovvero i recettori, specifiche proteine poste sulla membrana cellulare delle cellule gustative) “sbloccano” il meccanismo della trasduzione, dando il via ad una cascata di eventi che si concluderà, nel polo inferiore della cellula, con la liberazione di un neurotrasmettitore in grado di eccitare la fibra nervosa sensoriale e generare un impulso elettrico che trasmetterà l’informazione fino alla corteccia celebrale attraverso i nervi cranici. Più “chiavi” ci sono, più “serrature” vengono sbloccate, quindi maggiore sarà l’intensità quantitativa del gusto percepito.

Il legame tra il recettore e il suo lingando è molto limitato nel tempo: il meccanismo della deglutizione, la saliva, l’acqua o un buon bicchiere di vino “spazzeranno” via la sostanza responsabile della percezione dalla papilla gustativa, e il recettore tornerà disponibile a valutare il prossimo boccone (e ovviamente la bevanda introdotta). La percezione del gusto però perdurerà e si trasformerà anche dopo la deglutizione, andando a contribuire al cosiddetto retrogusto; tra i cinque sapori fondamentali, l’umami è quello che perdura per più tempo.

Le “chiavi” dell’Umami

L’umami fu teorizzato già nel 1908 da Kikunae Ikeda, professore di chimica all’Università Imperiale di Tokyo. Ikeda isolò dal brodo concentrato di alghe kombu il glutammato,  identificandolo come responsabile del caratteristico sapore; nel 1909, un anno dopo scoperta di Ikeda, il sale monosodico di glutammato (MSG) veniva già largamente commercializzato come condimento in Giappone, sotto forma di sale cristallino: oggi anche in Italia è abbastanza facile trovare questo prodotto nei negozi di prodotti alimentari etnici.

Il glutammato monosodico è il sale dell’acido L-glutammico, uno dei venti amminoacidi che compongono le proteine di qualsiasi essere vivente. E’ uno degli amminoacidi più presenti negli alimenti, sia in forma libera che sotto forma proteica: il glutine è composto per il 25% da questo amminoacido, mentre la caseina circa per il 20-23%. Oltre ad essere implicato nella costituzione delle proteine, acido l-glutammico è uno dei più importanti neurotrasmettitori del sistema nervoso centrale, si ipotizza che sia implicato in funzioni cognitive quali l’apprendimento e la memoria. Non è un amminoacido essenziale, ovverosia l’organismo è in grado di sintetizzarlo a partire da altre molecole quando necessario;  ciò avviene sopratutto in caso di stress psicofisico o malattia, evidenziando come questa molecola sia vitale per il funzionamento delle cellule.

In seguito alla scoperta del dott. Ikeda, altri ricercatori giapponesi si misero ad esplorare gli alimenti con uno spiccato gusto umami, per cercare di isolare altre sostanze in grado di stimolare la percezione sensoriale del quinto sapore. Prendendo in esame diverse tipologie di cibo (carni, pesce, verdure, funghi) si scoprì che alcuni 5′-nucleotidi, derivanti dalla degradazione degli acidi nucleici (come l’RNA o il DNA), influenzavano positivamente la percezione dell’umami: queste sostanze sono l’inosina 5-monofosfato (IMP), la guanosina 5-monofosfato (GMP) e l’adenosina 5-monofosfato (AMP). Uno degli aspetti più interessanti è che questi 5-nucleotidi non sono in competizione con il glutammato per stimolare i recettori dell’umami (come invece accade ad esempio nel recettore del dolce, dove saccarosio e fruttosio cercano entrambi di attivare il recettore), ma agiscono in sinergia, potenziando la percezione sensoriale.

Per comprendere come funziona l’azione sinergica, torniamo al concetto semplificato della chiave (il glutammato) e della serratura (il suo recettore specifico): immaginiamo la chiave entrare nella serratura, sbloccarla, ma dopo pochi secondi scivolare fuori dal buco permettendo così alla serratura di richiudersi a scatto; immaginiamo ora un secondo foro nel meccanismo della serratura, dove una seconda chiave (i 5′-nucleotidi) blocca la prima chiave in posizione, impedendogli di fuoriuscire. La stessa cosa accade nel recettore del glutammato: i 5′-nucleotidi si legano ad un’altra porzione della proteina rispetto al sito di legame del glutammato, provocando un cambio di conformazione che “intrappola” il glutammato per più tempo rendendo più persistente la trasduzione del segnale sensoriale e aumentando quindi quantitativamente la percezione dell’umami.

Modello del recettore del gusto umami. Il recettore del gusto (in blu) è “off” quando non è presente glutammato. Il glutammato interagisce con il recettore, stabilizzando lo stato “on” e segnalando una sensazione di gusto umami. Glutammato e GMP insieme legano il recettore e stabilizzano ulteriormente lo stato “on”, portando ad una più lunga e più intensa sensazione di umami. Fonte: scienceandfooducla.wordpress.com

Per gli strippati di biochimica, IMP, GMP e AMP si definiscono agonisti allosterici del glutammato sui recettori sensoriali.
L’azione sinergica dei 5′-nucleotidi con il glutammato monosodico fu quantificata nel 1967 dagli studi di Yamaguchi (giapponesi, sempre loro!) che sperimentò la diversa percezione del gusto umami con una miscela di glutammato e inosina 5-monofosfato (IMP) a percentuali crescenti di quest’ultima.

relazione che intercorre tra la percezione del gusto umami e le diverse concentrazioni di MSG e IMP (Yamaguchi 1967)

Grazie alla scoperta del rapporto sinergico tra glutammato e 5′-nucleotidi, si è riusciti a formulare il rapporto ottimale di sostanze adatto a creare il miglior sapore di umami al costo inferiore rispetto all’uso del solo MSG: la sinergia è così forte che si ottiene la stessa percezione di 100g di glutammato utilizzando una miscela di soli 17g di glutammato con 0,9g di IMP e GMP (al 50:50). Ecco perché in molti insaporitori a base di glutammato troviamo anche inosilato disodico e guanilato disodico.

L’Umami di “casa nostra”

Fino ad ora abbiamo parlato delle scoperte effettuate da ricercatori giapponesi, che hanno dimostrato l’esistenza del quinto sapore fondamentale estraendo sostanze da brodi concentrati di alghe, di tonno, di funghi e di altri alimenti legati alla cucina orientale. Questo vuol dire che da noi, in occidente,  l’umami è relegato solo alla sfera dei piatti pronti e degli insaporitori granulari? Assolutamente no! Date un occhiata a questa tabella.

Ingredienti Glutammato Guanosina Inosina
Vegetali Pomodori 150〜250
Pomodori secchi 650〜 1140 10
Pisellini verdi 110
Aglio 100
Fave 60〜80
Patate 30〜100
Spinaci 50〜70
Asparagi 30〜50
Funghi Champignon 40~110
 Porcini (essicati)  70  10
 Tartufo  60~80
 Pesce  Capasanta  140
 Gamberi  120  90
 Polpo  20~30
 Sardine  10~20  280
 Tonno  1~10  250〜360
 Ostriche  40~150  20
 Vongole  210
 Cozze  110
 Acciughe marinate  630
 Latte e derivati Latte vaccino 1〜2
 Cheddar  180
 Emmenthal  310
 Parmigiano reggiano  1200〜1680
 Carne  Maiale  10  230
 Pollo 20〜50 150〜230
 Manzo  10  80
 Prosciutto crudo  340

[Concentrazione di sostanza in forma libera espressa in mg/100g, fonte umamiinfo.com]

Per fare un confronto con la cucina orientale, la salsa di soia ha una concentrazione di glutammato che va dai 400 ai 1700 mg/100g (esistono infatti cinque tipi diversi di salsa di soia, a fermentazione crescente). Il nostro parmigiano reggiano, punta di diamante della produzione casearia italiana, arriva con 24 mesi di stagionatura agli stessi valori, e può andare anche oltre nelle stagionature più prolungate.

apertura di una forma di parmigiano reggiano invecchiato 72 mesi

Ma quanto è radicato l’umami nella gastronomia italiana? Affonda nei secoli!  Marco Gavio Apicio, gastronomo e cuoco vissuto a Roma a cavallo dell’anno zero, menziona nei suoi ricettari (giunti fino a noi nella raccolta di dieci libri intitolata De re coquinaria) il garum; lo stesso veniva nominato da autori più autorevoli e famosi tra i quali Plinio il Vecchio (Naturalis historia XXXI, 93 sgg.) e Seneca (Epistulae morales ad Lucilium, XV, 95, 25), e ancora prima, viene citato in fonti greche del V-IV secolo a.C. (es. Eschilo, Sofocle). Si tratta, stando alle descrizioni, di un condimento dall’aspetto di un liquido denso e ambrato, molto utilizzato nella cucina dell’Antica Roma, ottenuto facendo fermentare piccoli pesci (es. latterini, triglie, acciughe), pesci più grandi fatti a pezzi (es. sgombri) e interiora di pesce, sistemati a strati intervallati da due dita di sale in una vasca con un fondo di erbe aromatiche come aneto, coriandolo, finocchio, sedano, menta, pepe, zafferano, origano; le vasche venivano fatte fermentare al sole per venti giorni, iniziando a rimescolare il tutto a partire dal quinto giorno. Alla fine veniva separata la parte più densa, il garum, dalla parte liquida, il liquamen. Il garum veniva prodotto in Tunisia, nell’attuale Libia, in Spagna, ma anche in Campania, ad esempio a Pompei.

vasche per la produzione del Garum a Baelo Claudia, colonia romana nel sud della Spagna

Raccontato così, sembra un cibo degno della trasmissione Orrori da Gustare. In realtà era una salamoia satura nella quale gli enzimi proteolitici scindevano le proteine del pesce ottenendo un concentrato di glutammato e inosina, ovvero umami a badilate. Se ci pensiamo bene, la pasta di acciughe o ancor di più la celebre e pregiata colatura di alici di Cetara sono prodotti molto simili al garum.  Le salse di pesce fermentato esistono oggi in territori diversi, non solo del Mediterraneo, per esempio il pissalat di Nizza, lo tsirosi della Grecia, il fesikh dell’Egitto, il ca-thuy della Cambogia, il nuoc-man vietnamita, le salse della Thailandia e delle Filippine.

[fonte: umamiinfo.com]

Quindici secoli dopo Apicio, lo spagnolo Hernán Cortés rientrò in Europa dal Nuovo Mondo portando con se, oltre all’oro dei poveri aztechi, alcuni frutti tra i quali dei pomi dal caratteristico colore dorato. Coltivati per due secoli come piante medicinale o decorative, solo nel XVII secolo entrano a far parte della cultura gastronomica italiana, anche grazie ad un lavoro di selezione e innesti che ne ha trasformato il colore da dorato a rosso. Come indicato nel grafico, i pomodori rossi, giunti al massimo livello di maturazione, arrivano a contenere 246 mg di glutammato ogni 100g di prodotto, specialmente in prossimità della buccia e nei semi. Pensiamo ad un bel piatto della domenica italiana: una pasta fresca, magari all’uovo, condita con un ragù ricco di carne sia di maiale che di manzo,  con una spolverata di parmigiano reggiano stagionato 36 mesi. C’è il glutammato dell’uovo, del pomodoro e del formaggio stagionato, unito all’inosina della carne che ne moltiplica l’effetto. Ancora una volta, umami a badilate.

Umami e frollatura

Il glutammato è presente naturalmente in tutti gli alimenti, in quanto amminoacido molto ripetuto nelle catene che formano le proteine; quello che però viene percepito dalle cellule sensoriali presenti sulla nostra lingua è solo la quota di acido glutammico presente in forma libera, ovvero non inglobato nelle proteine. Negli esempi riportati nella precedente tabella, gli alimenti indicati in carattere corsivo (pomodorini secchi, porcini secchi, formaggi stagionati, acciughe marinate), nonché il garum, dimostrano che i processi di invecchiamento, stagionatura e fermentazione aumentano notevolmente la concentrazione di glutammato libero: gli enzimi proteolitici presenti nelle cellule rimangono attivi per molto tempo e procedono all’idrolisi delle proteine, scindendo gli amminoacidi che le compongono. Questi amminoacidi liberi sono in grado di stimolare, ognuno in maniera diversa, i cinque gusti fondamentali, secondo lo schema indicato nella figura sottostante, andando quindi ad influire sulla complessità di sapori dell’alimento che subisce il processo. Contemporaneamente, l’allontanamento dell’acqua per salatura e evaporazione concentra le sostanze presenti.

[fonte: umamiinfo.com]

L’esempio più evidente è nel prosciutto, dove la quantità di glutammato aumenta durante la stagionatura e contemporaneamente si riduce la quantità di acqua presente nei tessuti. Il glutammato passa dai 5,8 mg/100g del prodotto fresco a 206,8 mg/100g nello stagionato 12 mesi, e 334 mg/100g nel 18 mesi. (dati riferiti a prosciutto iberico, J.J.Cordova, 1994).

Nella carne bovina, durante la frollatura, avviene lo stesso processo: un campione di manzo macellato da 4 giorni presenta 6,0 mg di glutammato e 51,8mg di inosina ogni 100g di carne; lo stesso a 12 giorni dalla macellazione presenta 9,7mg/100g di glutammato e 56,0 mg/100g di inosina. (fonte Ninomiya,2002). Immaginate cosa accade nelle frollature di 30, 45, 60 giorni.

Personalmente penso che 60 giorni di frollatura siano il limite massimo per una carne bovina destinata alla cottura sulle braci: oltre questo tempo si entra nel campo dell’affinamento, dove il profilo aromatico della carne si trasforma, acquistando note inaspettate (es. l’aroma di nocciola) che portano il prodotto nel campo dei salumi da consumare crudi. Per una bistecca, il mio ideale personale si attesta sui 45 giorni.  

La frollatura, specialmente in dry aging, si dimostra anche in questo caso un processo fondamentale per poter gustare nella sua piena espressione la carne di manzo: intenerimento delle fibre, aumento della complessità aromatica, perdita di acqua con incremento della concentrazione delle sostanze, umami a badilate.

E nonostante tutti questi vantaggi, ancora c’è chi affigge il cartello “carne fresca appena macellata” sulla vetrina della propria bottega, e peggio ancora, c’è ancora chi gli da retta. Ma per quanto ancora?

Perché l’umami è così importante

Conoscete l’equazione del gusto descritta da Gianfranco Lo Cascio in questo articolo?  G = Pc + Pt + Pm + Pd + Px + Fx, ovvero il gusto di un cibo è la somma di percezioni chimiche (sapori e olfatto), termiche (caldo o freddo), meccaniche (consistenza del cibo), dolorose (piccante, pungente), chemestesiche (es. l’astringenza dei tannini nel vino o il freddo del mentolo) più un fattore X legato a fattori emozionali come l’appagamento visivo o il ricordo di un sapore conosciuto nella cucina della propria nonna durante l’infanzia.

Chi ha fatto della cucina la propria passione o professione, sa che i quattro classici sapori fondamentali  interagiscono tra di loro in sinergia o in contrasto, ad esempio il sale a basse concentrazioni aumenta la percezione dolce, mentre dolce e salato in alte concentrazioni si annullano; l’aspro viene smorzato dal dolce mentre viene intensificato con il salato e con l’amaro, e così via. L’umami funziona invece come un potenziatore della percezione sensoriale di tutti gli altri sapori fondamentali; inoltre, il glutammato attiva il 25% in più delle terminazioni nervose rispetto agli altri sapori fondamentali, e genera attività nelle zone della corteccia celebrare deputate al piacere. Nell’equazione del gusto sopracitata, l’umami influisce in maniera prepotente sia sulle percezioni chimiche che sul fattore X

amminoacidi liberi nel latte materno a 7 giorni dal parto [fonte umamiinfo.com]

Il primo gusto percepito da ogni mammifero, uomo compreso, è il latte materno. A tal proposito, è interessante guardare il grafico riportato che illustra le diverse concentrazioni degli amminoacidi in forma libera (quindi non facenti parte di proteine)  presenti nel latte umano a 7 giorni dal parto: il glutammato responsabile del gusto umami costituisce il 50% di tutti gli amminoacidi liberi presenti, arrivando ad una concentrazione di 18,7mg/100g. Una quantità enorme se consideriamo che, nel latte di vacca, la concentrazione di glutammato libero è appena 1.0mg ogni 100g; nel latte di gatta arriva a 2,6mg, mentre in quello di cavalla arriva a 8,4mg. Soltanto gli altri primati, come lo scimpanzé, superano il livello di glutammato libero del latte umano, arrivando a 38,9mg.

Un esperimento molto particolare sulla percezione del gusto da parte dei neonati fu effettuato somministrando una zuppa di verdure addizionata con elementi che, di volta in volta, evidenziavano solo un sapore fondamentale: i neonati rispondevano con espressione di disgusto ai sapori acidi e amari, rifiutavano dopo poche poppate la zuppa senza additivi, mentre accettavano con un espressione rilassata e compiaciuta i sapori dolce e umami. (JE Steiner et al., 1987)

Sperimentazioni effettuate su soggetti anziani, nei quali percezione sensoriale e appetito sono notoriamente affievoliti dall’età avanzata, hanno dimostrato che questa categoria di persone dimostrava di gradire maggiormente i cibi contenenti glutammato; inoltre, intervistando i soggetti della ricerca, risultò evidente che la loro scelta era motivata non solo dai sapori più intensi, ma anche da ricordi piacevoli della propria vita che questi cibi facevano tornare alla mente.

L’influenza dell’umami sulla nostre scelte alimentari è fortissima, ci basti riguardare questa foto:

E’ proprio lui! Il McDonald’s Big Tasty che il coach Emiliano Nencioni, immolandosi per la causa, ha sezionato e analizzato in questo articolo e confrontato con il diretto concorrente Burger King in quest’altro. Se non li avete letti, fatelo ora dopo aver acquistato più conoscenze sull’umami, o comunque rileggeteli. Nononostante la evidente scarsa qualità dei singoli elementi che compongono il panino proposto da McDonald’s, c’è gente al mondo che non mangerebbe altro tutta la vita, grazie alla studiatissima chimica creata dal colosso dai due archi dorati.

Si può replicare tutta questo irresistibile potere umami senza adoperare le polverine bianche scoperte dal dottor Kikunae Ikeda? Certo che si può! Basta utilizzare in maniera intelligente il potere sinergico del glutammato naturalmente presente negli alimenti con quello dei 5′-nucleotidi, scegliendo correttamente gli elementi. In realtà lo facciamo già adesso, ma solo ora possiamo capire la base che sta dietro al successo di certi abbinamenti.

Immaginiamo, con le conoscenze fin ora acquisite, l’umami di un ketchup di buona qualità, base delle nostre salse barbecue: si tratta di un concentrato agrodolce di pomodori rossi, quindi di una salsa ricchissima di glutammato. Oltre al ketchup, in molte preparazioni barbecue rientra anche la Worcestershire: la celebre salsa creata quasi “per sbaglio” dai farmacisti Lea & Perrins viene realizzata lasciando fermentare per tre anni in botti di legno cipolle, aglio, scalogno e acciughe sotto sale; dopo l’invecchiamento, viene aggiunto aceto di malto, tamarindo, chiodi di garofano, peperoncino rosso  e melassa di canna da zucchero. Il risultato è una salsa agrodolce e piccante contenente 34mg di acido glutammico ogni 100g. Il cheddar (quello vero, non quello farlocco) contiene ogni 100g dai 77,8mg (stagionato 4 mesi) ai 182mg (stagionato 8 mesi) di glutammato. Tutti questi alimenti, abbinati a carne di buona qualità, che contiene poco glutammato ma moltissima inosina, regalano insieme… umami a badilate!

se poi ci aggiungiamo anche un uovo dal tuorlo cremoso e del bacon croccante, come ci suggerisce Daniele Faresin in questo articolo, allora le nostre papille gustative schizzeranno via dalla lingua, e avremo inserito un nuovo, bellissimo ricordo nella nostra memoria !