Oggi sarà dura, perchè si parla di Smoke Ring, Portuense, Roma.

Sarà dura perchè la via e la zona sono praticamente “casa”, e questo locale è di fatto la prima smoke house di Roma. Potete immaginare quindi l’entusiasmo quando venni a sapere della sua apertura nei primi mesi del 2014 ed entrai qui per la prima volta (8/1/2014 per l’esattezza) dopo neanche una settimana dall’inaugurazione: le impennate di amore e campanilistico orgoglio nelle serate andate bene e la rabbia per quelle deludenti. Un po’ come quando la squadra del cuore vince o perde.

Oggi invece, mi tocca venire qui con occhi e papille gustative da arbitro spietato, non da tifoso romantico.

Il locale come detto è una smoke house in stile americano a tutti gli effetti; non un pub, non una bisteccheria che offre qualche piatto affumicato, o posticci del genere. Qui si fa solo ed esclusivamente puro barbecue, scommessa rischiosa e da rispettare, per il coraggio e la coerenza.

Sono cambiate tante cose dall’apertura: il menù, i prezzi e se non vado errato anche la gestione, ma non lo spirito del vero barbecue joint. La sensazione, dentro lo Smoke Ring è quella di essere davvero in un posto di ispirazione americana, senza bisogno di piatti con nomi di cowboy, cactus di plastica e musica da saloon a tutto volume.

Com’è costruita questa sensazione? Da tante piccole cose indovinate e dettagli ben studiati, partendo dalla prima che si incontra per forza di cose: la maniglia del portone costruita con una vera costola di manzo attaccata alla porta con una corda.

Appena entrati ci si trova nell’unico ambiente del locale, riempito da due file di quattro tavoli spaziosi con panche da 8/10 persone l’uno, con in fondo il bancone delle birre e della cassa, sormontato dal logo del locale in neon.

Il vano è davvero rustico, con le pareti di mattoni nudi e il soffitto a botte. Il rischio di richiamare in mente “l’osteria” è alto, ma questi rimandi sono abilmente spazzati via dall’arredamento: dal soffitto pendono lanterne accese che illuminano il posto, alle pareti sono appesi quadri a tema, come lo schema dei tagli del maiale e del manzo, le lavagne con i menu, un maxi schermo e qualche bandiera americana.

Colpisce in particolare la “hall of fame” dei più grandi mangiatori campioni in carica per ogni portata.
Si tratta di un’iniziativa tipicamente americana resa famosa dalla trasmissione Man VS Food di Adam Richman, ma nata in realtà molti anni prima al Big Texan, una famosa steak house lungo la Route 66 (Amarillo-TX). Lì chi riesce a mangiare una bistecca da 2kg e svariati contorni in un’ora, non paga il conto e viene aggiunto nella hall of fame del locale, omaggiato da gloria eterna.

Analogamente, lo Smoke Ring mette in palio 42 birre a chi riesce e mangiare determinate quantità di cibo e battere i campioni in carica.

Questa è una vera smoke house (l’ho già detto vero?) e il concetto può non essere noto a tutti; sui tavoli sono distribuiti dei fogli plastificati, che oltre a fungere da menù, spiegano per filo e per segno l’identità del locale, i piatti, le preparazioni e la procedura per ordinare. Dimenticate la classica comanda al cameriere, è così che si ordina nei veri barbecue joint americani.

Sui tavoli sono distribuiti dei foglietti precompilati con i piatti disponibili e le relative opzioni. I clienti devono spuntare le caselle relative ai piatti e alle porzioni desiderate, e consegnare il foglietto al bancone, dove in cambio viene assegnato un segnaposto numerato da portare con sé al tavolo. Dopo pochi minuti i camerieri tramite il segnaposto identificano il tavolo e servono il pasto in pieno stile statunitense, ovvero su un vassoio foderato di butcher paper.

Ho ordinato le due “combo” principali: Holy Trinity (come da gergo bbq: brisket, ribs e pulled pork) e il Bar-B-Q Combo (chicken leg, link, pork belly). Tra le birre proposte ho scelto la Mundaka: un po’ troppo acidina per i miei gusti e troppo poco amara per essere definita pale ale. A differenza della Lambrate Quarantot, amara e spigolosa come piace a me.

Trascorro i pochi minuti di attesa sfruttando la connessione wifi gratuita, sicuramente un plus.

A prima vista gli impiattamente sono molto suggestivi: la carne sulla butcher paper, il cole slaw e i baked beans di contorno, serviti dentro apposite vaschette di cartoncino e le salse dentro i classici barattolini usa e getta. Tutto “American Style” impeccabile, se non per le due fette di pane casereccio, peraltro buono, ma che avrei volentieri scambiato con qualcosa di più coerente col tema.

Passiamo quindi all’assaggio una portata per volta.

Pulled pork

Forse la pietanza meno riuscita. Umido il giusto, ma veramente troppo delicato, quasi insapore, al netto di una lieve affumicatura. Salvato solo se accompagnato dalle salse.

Brisket

Decisamente overdone. A giudicare dalla “forma” credo mi sia capitata una porzione di point, in quanto non si trattava di fette né di burnt ends, ma più di carne ammucchiata. Nonostante il taglio un po’ disordinato e la tendenza a sbriciolarsi,  il rapporto grasso/magro era comunque bilanciato. Qualità generale quindi, forse non da gara di barbecue, ma comunque buona. Rimasto umido e saporito anche al secondo giro di assaggio dopo una manciata di minuti.

Ribs

Un pelo underdone e piuttosto tenaci al morso; cosa assolutamente in controtendenza quando si parla di bbq ribs in Italia. Non so se sia stato un caso o una scelta, ma personalmente l’ho apprezzata.

Nota negativa, il bark purtroppo assente, con il rub rimasto umido in superficie, ma ponderata da due aspetti positivi: lo smoke ring ben visibile, e la membrana dietro le ossa rimossa (non proprio tutta tutta). Anche qui, come per il brisket, non siamo in assetto da gara e ad eccezione del bark, il sapore, la moisture e l’affumicatura erano tutti nei canoni. Insoma. costine non da urlo, ma sicuramente promosse.

Chicken leg

Tra tutte, l’unica portata veramente calda al servizio. Si tratta di una sovracoscia con osso e pelle, trattata con un rub del quale le prime percezioni sono state zucchero e paprika. Lievemente dolce quindi, aromatico, succoso e, udite udite, con pelle croccante. Anche il pollo ammesso a pieni voti.

Link

Si scrive “link”, ma si legge “salsiccia”; a grana fine, affumicata e servita intera. Tra tutte le portate forse la più saporita. Ok, è solo una salsiccia, ma la botta di sapidità dopo tutti quegli assaggi più o meno delicati è notevole. Unica nota negativa è il prezzo di 6 euro, che per una salsiccia (italiana), preparata in una cucina che affumica a regime è un po’ alto.

Pork belly

Assaggiato dopo la salsiccia, mi è parso quasi ospedaliero. Dopo un sorso di birra e qualche minuto l’ho rivalutato completamente. Per essere pancetta era incredibilmente magra, e nonostante sia un piatto praticamente scondito, si tratta pur sempre di fette spesse pochi millimetri con il condimento solo sul bordo, è comunque equilibrato. La sua delicatezza diventa una rampa di lancio per l’affumicatura, che è in questo caso la vera nota caratterizzante, aromatica ma non invadente.

Cole slaw

Non c’è una ricetta ufficiale sul cole slaw. Qui lo fanno con la verza e una salsa a base di maionese, probabilmente rinforzata da aceto e pepe. Buon accompagnamento, senza infamia e senza lode.

Baked beans

Gustosi e saporiti, con pezzettini di carne in mezzo e un piacevole sentore di affumicato. Non da saltare sulla sedia ma comunque buoni.

Salse

In passato le salse erano disposizione sui tavoli nei dispenser di plastica, etichettati a mano, e ce ne erano 3 o 4. Oggi non ci sono più e si pagano a porzione, purtroppo. Ho provato la salsa “standard” e la fruity: entrambe interessanti. Si sente che c’è ricerca dietro e che non si tratta di semplici salse commerciali modificate. In particolare la fruity, a base di ananas con una punta di zenzero, si distacca dagli aromi tradizionali e si abbina alla grande con tutte le carni.

Cheesecake

Chiudo la cena con un dolce scelto tra una lista di dessert tipicamente USA, e opto per una cheesecake. Anche qui rimango piacevolmente sorpreso, nonostante non sia un amante dei dolci. Nella base riconosco l’aroma tipico dei biscotti Digestive. Non sono in grado di distinguere se proprio originali o meno, ma percepisco chiaramente quell’aroma dolce/salato/burroso tipico dei biscotti di tradizione anglosassone. La parte cremosa è soffice e dolce il giusto, bilanciata dall’acidità della glassa alla frutta.

Che dire per concludere?

Che questa è una di quelle sere in cui lo Smoke Ring lo amo.

Nonostante la caduta stilistica sul pane, il pulled pork un po’ troppo delicato, e il prezzo del Bar-B-Q Combo che forse dovrebbe essere di qualche euro più basso, penso di poter promuovere Smoke Ring senza remore: è onesto e sincero barbecue, sia nello spirito che nella carne.

[Crediti | Link: Smoke Ring | Immagini: Leonardo Pucci Bianchi]